La violenza di genere: alcuni aspetti centrali
“La violenza di genere non è nella biologia o nei cromosomi, ma nell’educazione e nell’ambiente relazionale che devono essere i luoghi da cui partire per un cambiamento“.
La violenza di genere o, più esplicitamente, la violenza maschile contro le donne è definita dall’Onu come un insieme di atti violenti (minacce, coercizione, privazione della libertà…) alimentati dalla differenza o discriminazione tra uomo e donnacapaci di provocare una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne.
L’altra parola associata in modo automatico a tale definizione è quella di femminicidio che mette in chiaro il fatto che l’omicidio, le violenze, le persecuzioni avvengono in quanto chi subisce appartiene al genere femminile: l’essere donna, soprattutto quando non incarna più la rappresentazione di “donna tradizionale”, è il motivo principale che muove i vari atti di violenza.
Chi banalmente vuole giustificarsi dicendo che esiste anche una violenza contro gli uomini messa in atto dalle donne non mette in conto che questo tipo di violenza, del tutto marginale o inesistente nelle statistiche, non avviene in quanto la vittima è uomo, anche perché fare un’affermazione simile equivarrebbe a dire che la vittima è stata uccisa in quanto appartenente al genere che da sempre ha prevaricato e discriminato l’altro sesso.
Tralasciando questa giustificazione maschilista – tuttavia realizzabile in un lontano e fantastico futuro iperfemminista – soffermiamoci su alcuni aspetti centrali della violenza di genere.
Il primo riguarda il rapporto tra stile di attaccamento e violenza di genere: come riportato dall’Osservatorio nazionale sui diritti, gli studi sull’attaccamento sottolineano che quando entrambi i membri della coppia hanno uno stile di attaccamento insicuro (ansia, angoscia di abbandono, convinzione di non essere amabili…) le possibilità di regolazione ed espressione delle emozioni falliscono maggiormente, causando un rischio più elevato di violenza. Inoltre, se lo stile individuale di attaccamento di chi abusa è evitante le modalità disfunzionali che si attivano sono centrate sul fallimento dei meccanismi di controllo della rabbia e sulla svalutazione del legame affettivo, due strategie psicologiche fallimentari che possono arrivare fin al punto di non far percepire la crudeltà e le sofferenze causate al partner.
Il secondo aspetto si riferisce al ciclo della violenza ripetuto dalla coppia fino alla rottura, che in alcuni può essere drammatica. Le tre fasi di tale ciclo sono: accumulo di tensione emotiva di chi abusa (nervosismo, intolleranza, indifferenza…), liberazione esplosiva della tensione accumulata (aggressioni verbali e psicologiche…) e luna di miele (apparente dolcezza di chi abusa, scuse, cure…). La marcata ripetitività di questi comportamenti insieme alla scelta della donna maltrattata di interrompere una relazione così dannosa possono essere considerati due segnali critici che dovrebbero attivare la presa in carico e la protezione della vittima.
Il terzo aspetto ci porta al cuore della violenza di genere e del modo in cui viene raccontata, ovvero all’illusione di poter definire una precisa personalità “patologica” della vittima e del carnefice per relegare la questione della distruttività umana e della sofferenza (psicologica e sociale) in uno spazio chiuso e separato dal nostro mondo quotidiano. Se gran parte della psicologia cede a questa semplificazione, la conseguenza è che si mettono sempre in secondo piano gli elementi più perturbanti della violenza di genere. Tra questi possiamo evidenziarne due: la separazione della parte violenta di sé nel carnefice e la collusione psicologica della vittima, dinamica che ha poco a che fare con la colpevolizzazione della donna. In entrambi i casi, evitando di mettere sullo stesso piano vittima e carnefice, c’è un forte nodo di sofferenza che merita di essere ascoltato e sciolto.
Questi tre aspetti accennati confluiscono in un ultimo punto fondamentale, i processi educativi costituiscono lo strumento principale per riflettere e comprendere su come si struttura e su come viene espressa l’aggressività nei rapporti umani. Un’aggressività che, dal punto di vista educativo, non dovrebbe essere ricondotta ad una caratteristica costituzionale del maschio o della femmina, ma alla costruzione psicosociale dell’uomo e della donna.
In conclusione e in maniera più esplicita, la violenza di genere non è nella biologia o nei cromosomi, ma nell’educazione e nell’ambiente relazionale che devono essere i luoghi da cui partire per un cambiamento.
Riferimenti bibliografici
Argentieri S. (2023), Contro i femminicidi. Zone d’ombra e ambiguità, rivista giudicedonna.it, disponibile al link: http://www.giudicedonna.it/index.htm
Bergamo F. (2020), Stili di attaccamento e violenza nella relazione di coppia: un’ipotesi di correlazione, Vox, osservatorio italiano sui diritti, disponibile al link: http://www.voxdiritti.it/stili-di-attaccamento-e-violenza-nella-relazione-di-coppia-unipotesi-di-correlazione/
Bonsangue M. (2022), La violenza psicologica nella coppia, Dario Flaccovio Editore, Palermo.